Lo avevamo annunciato, inizia la nuova vita del PalaDozza di Bologna tempio di Basket City, di eventi culturali e avvenimenti dal 1956. Martedì la Giunta comunale ha approvato di inserire alcuni immobili strategici all’interno della prossima gara per la gestione dei servizi turistici della Destinazione Bologna Metropolitana che uscirà a settembre. Il vincitore gestirà le Due Torri, il complesso di palazzo Re Enzo, Palazzo dei Notai e appunto il PalaDozza, con il compito di riorganizzarlo e realizzare un museo dedicato al Basket e alla storia del palazzo. Questa estate, inoltre, partono i lavori di ristrutturazione finanziati dal Comune. Sabato mattina 5 agosto alle 9, per chi fosse interessato, appuntamento al ‘campo’ per ridipingere i muri insieme ai volontari di Roberto Morgantini.
Il PalaDozza oltre a rimanere la casa del basket bolognese dovrà essere la sede di un museo interattivo dedicato alla storia del palazzo costruito nel 1956 e dedicato al sindaco Giuseppe Dozza nel 1996. Il futuro gestore non dovrà pagare un canone per il palazzo ma saranno a suo carico tutte le importanti spese di gestione della struttura.
Per quanto riguarda gli altri immobili in sede di gara sarà fissato il valore del canone che dovrà essere corrisposto assieme agli oneri di gestione (utenze, spese di custodia e guardiania e manutenzione ordinaria). Palazzo Re Enzo – Palazzo del Podestà rimarrà sede di eventi, incontri, rassegne e manifestazioni e sarà a disposizione in modo gratuito del Comune di Bologna per 12 giorni all’anno. Anche i locali, che si affacciano su piazza Maggiore, utilizzati attualmente per l’informazione turistica manterranno la loro destinazione attuale. Per quanto riguarda le Due Torri, recentemente oggetto di un intervento di valorizzazione, il valore del canone sarà definito sulla base delle visite registrate negli ultimi due anni.
Infine un breve accenno ai lavori che il Comune di Bologna sta avviando in queste settimane nel PalaDozza. Si tratta di diversi interventi volti all’efficientamento energetico dell’edificio che abbatteranno significativamente i costi di gestione. Quelli che saranno realizzati a breve sono il distacco della centrale termica attualmente condivisa con il vicino edificio scolastico e la sostituzione dei fari per l’illuminazione del campo da gioco. Il palazzo sarà inoltre il destinatario di parte dei finanziamenti europei del PON METRO (Piano Operativo Nazionale Città Metropolitane) per la riqualificazione energetica. Complessivamente l’investimento ammonta a 4 milioni di euro.
Fino all’assegnazione della gestione del PalaDozza il Comune garantirà l’apertura del palazzo per la stagione sportiva. In questi giorni stiamo incontrando Fortitudo e Virtus Pallacanestro per coordinare al meglio la loro presenza all’interno come campo da gioco ufficiale.
BENVENUTI AL PALASPORT – Addio, vecchia bomboniera
Tratto da “I Canestri della Sala Borsa” – Marco Tarozzi
Più che la pallacanestro, a giustificare l’idea della costruzione di un grande contenitore per gli avvenimenti bolognesi fu il pugilato. Che allora trascinava le folle, incantate dalle gesta di Checco Cavicchi, impegnato a consumare gli anni d’oro della carriera. Così, mentre Virtus e Gira si producevano nelle prime sfide al cardiopalmo sotto le gallerie della Sala Borsa, qualcuno già iniziava a ragionare della costruzione di un vero palazzo dello sport. Idea partorita all’inizio degli anni Cinquanta e cresciuta tra mille polemiche. Il progetto era appoggiato dal Pci, che guidava la città, e fortemente contrastato dalla minoranza. Pure, andò avanti e superò ogni tipo di ostacolo, in primo luogo quelli di natura burocratica. Le trattative tra Comune di Bologna e Coni, proprietario del terreno nella zona di piazza Azzarita, furono lunghe e delicate. Ma alla fine, il 15 marzo del ’54, un lunedì fradicio di pioggia e freddo, anche il cardinale Lercaro portò in via Brugnoli la sua benedizione del giorno della posa della prima pietra. “Tra la più viva soddisfazione degli sportivi e di tutta la cittadinanza bolognese”, disse nell’occasione l’alto prelato, “abbiamo posto la prima pietra del nuovo Palazzo dello Sport. Con l’acqua lustrale è scesa copiosa su questa pietra anche l’acqua di marzo, non desiderata né invocata. Ma noi l’accettiamo come una più ampia benedizione per questa opera che darà lavoro a molti operai e una casa agli sportivi”. Una cerimonia breve e suggestiva, come ricordano le cronache dell’epoca, e poi la firma della convenzione tra Coni e Comune, con il sindaco Giuseppe Dozza e Giulio Onesti, presidente del Conti, a suggellare l’accordo con una stretta di mano nelle sale delle Collezioni d’Arte in Comune.
La “viva soddisfazione” dei bolognesi, come l’aveva definita il cardinale Lercaro, tardò ad arrivare. In realtà molti non capivano, né sentivano la necessità. Che ce ne facciamo, si chiedevano, di un impianto così grande, roba da settemila spettatori, quando in città ci sono tanti problemi più urgenti? Fu così che il palazzo nuovo di zecca fu subito battezzato, una “cattedrale nel deserto”. Nemmeno troppo sbagliato, se si pensa alla zona di Piazza Azzarita a metà degli anni Cinquanta, così vicina al cuore della città, ma ancora così periferica, frontiera-confine di un centro storico da cui ancora si immagina, si respirava, si intravedeva la campagna attorno. In quanto alla maestosità, non c’erano dubbi. Il palazzo, progettato dall’ingegner Allegra su direttive del Centro Studi Impianti Sportivi del Coni e la cui direzione dei lavori fu affidata all’ingegner Baracchi, aveva dimensioni imponenti. Dati tecnici: “Il Palasport copre un’area di 7200 mq, ha una cubatura complessiva di 85.000 mc. […] Nell’interno sono ricavati 18 gradoni, disposti su uno sviluppo di circa 2500 metri lineari. La cupola poggia su 48 colonne di acciaio incastrate nelle strutture di cemento armato […] la capacità del pubblico a sedere è elevata a un massimo di 7500 posti, con la possibilità di supercapienza di altri 1500 posti in piedi”. Un monumento allo sport, come non se ne erano mai visti.
Due anni e cinque mesi dopo la posa della prima pietra, il 9 agosto del ’56, Dozza e Onesti si ritrovarono per l’inaugurazione ufficiale dell’impianto. Poco più di un mese più tardi, la prima manifestazione sportiva ufficiale. Il IV Trofeo Aldo Mairano, torneo per rappresentative nazionali dedicato all’ex presidente della Federazione Pallacanestro, andò in scena dal 12 al 16 settembre. “Una manifestazione più degna, per tenere a battesimo il capolavoro del Coni” scrive Luigi Vespignani su “il Resto del Carlino”, di martedì 11 settembre 1956, “non poteva essere scelta, perché la partecipazione delle rappresentative cestisticamente più forti d’Europa costituisce indizio sicuro di successo”.
Infatti, in campo c’è il meglio del meglio: Russia, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Svezia. E l’Italia guidata dal tecnico statunitense McGregor, con sei beniamini della Sala Borsa: Alesini, Canna, Calebotta e Gambini della Virtus, Lucev e Macoratti del Gira. Tanto basta per mettere a tacere anche gli scettici: l’occasione per fare il pieno nuovo palazzo è già arrivata, nelle giornate del debutto ufficiale. La grande “prima”, per la cronaca, va in scena alle 20.30 di mercoledì 12 settembre, Italia-Polonia è una festa, finisce 70-54 per gli azzurri. Va detto che gli avversari si sentono un po’ in vacanza. Ancora Vespignani: “I russi sono stati i più assidui al lavoro, anche se non hanno disdegnato un bagno nelle acque del Reno e la visita ai monumenti più caratteristici. I polacchi, invece, hanno preferito prendere conoscenza con la rinomata cucina bolognese”. Tant’è: l’Italia va oltre, perde con onore con l’Ungheria (65-56), lascia ovviamente l’intera posta all’URSS (72-55) e dà una strapazzata ai derelitti svedesi (86-30). Il Mairano lo vince l’URSS davanti alla Cecoslovacchia e l’Italia è quarta tra gli applausi. I titoli di coda servono a fare conoscenza con mondi diversi. Dal “Carlino”: “Al pranzo ufficiale […] si sono visti i giocatori sovietici mantenere la loro abituale austerità (e sì che avevano vinto e si erano presi una bella rivincita sugli ungheresi). […] Cecoslovacchi e polacchi sono apparsi più vicini al nostro temperamento. Dopo il banchetto hanno mostrato di gradire gli assaggi alternati di lambrusco e vodka, si sono lanciati in perigliose gimkane sulle motorette italiane e v’è pure chi non ha esitato ad esplodere in affettuose effusioni verso le statue che adornano il giardino della Montagnola”.
Il ghiaccio è rotto, e il Palazzo dello Sport si annuncia come la nuova casa della pallacanestro bolognese. Lì diventerà “basket”, all’americana, e sotto le luci di potenti riflettori dimenticherà le mattonelle e il “loggione” della Sala Borsa. E nella stagione ’56-57, la prima del nuovo tempio dei canestri, diventa il simbolo di una città che già si mostra regina in Italia, con tre squadre impegnate nel massimo campionato. “Virtus-Minganti, Preti-Gira e Motomorini dispongono di un unico terreno di gioco, quello del Palazzo dello Sport” scrive il 3 ottobre del ’56 il “Carlino”. “Il calendario deve essere formulato in guisa tale che al massimo due compagini debbano giocare, nello stesso tempo, partite casalinghe”. Primi problemi, primi calcoli in una realtà che conta sei stracittadine in una sola stagione. Il primo anticipo è anche la prima volta di una delle squadre bolognesi nella nuova casa. Succede il 19 ottobre 1956, alla prima giornata di campionato. Tocca al Gira Preti, che batte la Stella Azzurra Roma 63-55. Il Primo canestro, per la cronaca, è di Moroutsis, che segnerà 20 punti. Lucev arriverà a 15, Paoletti a 11.
La linea di confine è superata, da qui cambia la storia del basket a Bologna. Le luci della Sala Borsa si spengono. È finita un’era, è iniziata un’era. E all’orizzonte c’è una nuova (e antica) realtà che si affaccia nel paradiso del basket. Si chiama Fortitudo, e con la Virtus incendierà il palazzo con nuovi, infuocatissimi derby. Ma questa è un’altra storia.